I numeri e gli asset del patrimonio culturale italiano, motore di sviluppo economico e finanziario con tanti settori collegati
Il patrimonio culturale italiano viene messo per consuetudine alla voce “capitale intangibile”, ha una estensione straordinaria, è diffuso, è unico e da sempre crea valore al sistema Paese, oltre che alle singole comunità. Mettere ordine a quella che è stata chiamata economia della bellezza è un’impresa nella quale si sono cimentati in molti, per ultima la Banca Ifis che ha condotto una ricerca realizzata per il Padiglione Venezia alla Biennale di architettura proprio con l’intenzione di tirare fuori dei numeri. Ne viene fuori una sorta di di censimento che ha coinvolto patrimonio paesaggistico, siti storici e archeologici, edifici, teatri, musei, manifatture, società di servizi. Un insieme di capitali che costituisce il 17,2% del Pil nazionale, annovera 128 milioni di persone che ogni anno usufruiscono del patrimonio culturale italiano, 341 mila imprese design driven che utilizzano la bellezza come fattore distintivo, il 31% sul totale delle aziende italiane che riportano 682 miliardi di fatturato.
Dunque un vero motore di sviluppo economico e finanziario che mette in campo anche programmi innovativi di rigenerazione e restauro. Ed ecco dunque diventare l’ecosistema tangibile e misurabile e che al patrimonio storico, artistico, culturale, naturalistico e paesaggistico unisce i servizi collegati come ad esempio trasporti ed hospitality. I settori produttivi sono un ulteriore drive che genera quei numeri citati dall’indagine e sono concentrati soprattutto nell’agroalimentare, automotive e altri mezzi di trasporto, cosmesi, meccanica e altra manifattura, cosmetica, moda, orologeria e gioielleria. Ma anche sistema casa e artigianato artistico, laddove le case history di successo riescono ad essere in sinergia in pianificazioni strategiche di filiera nelle sue molteplici forme.
In Italia si trovano 57 siti Unesco nella World Heritage List, a cui recentemente sono state aggiunte Padova e Montecatini, patrimonio mondiale dell’umanità e secondo gli autori di tutti gli studi rappresentano soltanto la punta di un iceberg dalle dimensioni imponenti. Anche il Fai (Fondo ambientale italiano) da anni si occupa di censire il patrimonio artistico e culturale italiano ed è dalle stime del Fai che possiamo dire che in Italia si contano oltre 4.000 musei, 6.000 aree archeologiche, 85.000 chiese soggette a tutela e 40.000 dimore storiche censite, senza considerare l’arte a cielo aperto costituita da coste, riserve e paesaggi naturali. Cinque anni fa la Corte dei Conti per reagire ad un’ennesima operazione delle agenzie di rating internazionale che avevano declassato il nostro Paese, ha provato a stimare il valore di questo asset. Secondo i dati del bilancio del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, il patrimonio italiano ha dunque un valore di almeno 986 miliardi di euro tra attività finanziarie e non finanziarie. Le opere d’arte classificate come beni mobili di valore culturale, biblioteche e archivi valgono 174 miliardi di euro (il 10,4% del nostro Pil). A fronte di questi numeri, ci sono però dei problemi rilevanti proprio in tema di conservazione e manutenzione. L’Italia è sempre agli ultimi posti per la percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura. A fronte di una media europea pari al 2,1%, la nostra quota è pari all’1,4%.
Negli ultimi tempi sono intervenute in maniera più efficace fondazioni, banche compagnie del settore energy per contribuire al sostegno di progetti e luoghi, anche a supporto della Pubblica amministrazione che gestisce oltre 3.000 dei circa 5.000 tra musei, palazzi e monumenti che generano una spesa energetica annua che si aggira intorno ai 250 milioni di euro. Operazioni di sponsorizzazione hanno reso possibile il restauro di tante realtà del complesso dei beni italiani, mentre in altri casi si sono concentrate sul dare sostegni concreti ai produttori del Made in Italy.