L’Italia può raddoppiare la produzione nazionale di gas, limitando le importazioni ed arginando gli aumenti record dei prezzi a livello internazionale.
La produzione di Gas in Italia è un tema estremamente complesso. Numerose aziende italiane definiscono la situazione semplicemente insostenibile. Il prezzo dell’energia e in particolare quello del gas investe in pieno interi settori industriali. Il costo del gas che fino all’inizio del 2021 era rimasto sotto controllo, ha iniziato a crescere a partire da maggio. È la materia prima che ha subìto i rincari maggiori nell’ultimo anno: il prezzo è cresciuto del 423 per cento a livello mondiale.
Se negli Stati Uniti l’aumento è stato piuttosto contenuto, intorno al 66 per cento, non si può dire lo stesso in Europa. Nel Vecchio Continente ci sono stati rincari del 723 per cento rispetto al dicembre del 2019. L’Italia è più esposta agli aumenti rispetto ad altri paesi europei perché privilegia il gas naturale come fonte energetica. Rappresenta il 42% del consumo totale di energia nel 2020, contro il 26% della Germania che usa ancora molto carbone. In Spagna il gas rappresenta il 23% del fabbisogno, in Francia invece il 17% che conta sull’energia nucleare. Nonostante l’Italia abbia raggiunto un discreto utilizzo delle energie rinnovabili (l’11% del consumo energetico) il livello non è sufficiente a contenere il ruolo del gas naturale e del petrolio.
Il piano di boost del Governo
Il Centro studi di Confindustria ha pubblicato un’analisi in cui suggerisce al governo alcune misure. Intervenire più di quanto fatto sinora sulle componenti fiscali delle bollette. Può essere utile aumentare le esenzioni per i settori della manifattura. Occorre riequilibrare, sul piano geopolitico, la struttura di approvvigionamento del paese. Serve promuovere una riforma del mercato elettrico, con l’obiettivo di separare la crescente produzione di energia rinnovabile dal costo di produzione a gas. Oltretutto serve aumentare la produzione nazionale di gas naturale. Questo punto può diventare uno snodo strategico con un indirizzo che va ben oltre la capacità di superare l’inverno più difficile.
I ministri dello Sviluppo economico Giorgetti e dell’Innovazione e Transizione Cingolani si sono pronunciati a favore di un ritorno allo sfruttamento dei giacimenti italiani di metano per limitare le importazioni. Ciò sarebbe reso possibile da un investimento da parte delle compagnie petrolifere, non con nuove trivellazioni, ma solo potenziando i giacimenti di gas già attivi. Il governo si dice convinto che con un’operazione di questo tipo in un biennio si potrebbe raddoppiare l’estrazione. L’Italia potrebbe passare da 3,5 a 7-8 miliardi di metri cubi l’anno. Andrebbero più del 10% dei 70 miliardi di metri cubi che è il fabbisogno annuale italiano.
Ancor prima che scoppiasse la crisi dei prezzi le aziende del settore si erano più volte dette pronte ad avviare i piani di nuovi investimenti per recuperare gli impianti in totale o parziale disuso e risvegliare i giacimenti sfiatati. Restano in attesa di avere tutte le autorizzazioni del caso. Queste possono bloccare gli investimenti in qualsiasi fase sullo sfruttamento delle risorse del sottosuolo.
I benefici di questo piano
Un via libera al booster di produzione italiana consentirebbe allo Stato di destinare a prezzo concordato quantitativi importanti di gas. Questo beneficerebbe i settori più esposti ai costi energetici. E’ opinione diffusa tra gli esperti di settore che i prezzi internazionali non scenderanno in maniera significativa anche per l’inverno 2022-2023.
Un calcolo molto accurato è stato fatto dalle compagnie che operano soprattutto al Nord: se in Emilia, Romagna e Adriatico si investissero 322 milioni, la produzione raddoppierebbe da 800 a 1.600 milioni di metri cubi. I benefici si andrebbero ad aggiungere alla futura produzione tra circa tre anni di 10 miliardi di metri cubi provenienti da Argo e Cassiopea nel canale di Sicilia per iniziativa dell’Eni che potrebbero portare oltre i 10 miliardi di metri cubi, la metà di quanto estraeva l’Italia tra gli anni ‘90 e subito dopo il 2000. Le autorizzazioni devono arrivare in fretta perchè i tempi tecnici per risvegliare i giacimenti sono molto diversi tra loro, alcuni pozzi possono rientrare in funzione in poche settimane, mentre altri un tempo molto più lungo, sino ad un paio d’anni.