Dimissioni di massa negli Stati Uniti, Fenomeno sociale in ascesa e i segnali contrastanti che arrivano dall’Europa
Nel mese di agosto 4,3 milioni di americani hanno rassegnato le dimissioni dal loro posto di lavoro, rappresentano il 2,8 per cento della forza lavoro, un record assoluto, non più inquadrabile tra i fenomeni di nicchia. È stato battuto anche il precedente primato di aprile quando 4 milioni di lavoratori hanno fatto la stessa cosa. Si tratta di un fenomeno sociale che ormai ha un riflesso diretto sull’economia americana, generato dalle conseguenze della pandemia. All’inizio dell’emergenza sanitaria oltre 20 milioni di persone persero il lavoro per le chiusure aziendali, ora avviene l’opposto, i dati pubblicati nel rapporto Jolt del Dipartimento del Lavoro dicono che sono gli stessi impiegati a lasciare il posto, spesso senza avere un nuovo lavoro, per cercare opportunità o stipendi migliori, ma anche condizioni di lavoro più favorevoli come lo smart working e la flessibilità.
A livello macroeconomico rispetto alla primavera del 2020 il tasso di disoccupazione è drasticamente calato, ma in diversi settori sono aumentate le dimissioni volontarie, succede nell’alberghiero e nella ristorazione (meno 892 mila dipendenti), nel retail (meno 721 mila unità) e nella sanità (meno 534 mila). Il Washington Post ha parlato di una “storica carenza del lavoro nel 2021. E nonostante manchino ancora 5 milioni di posti rispetto ai livelli precedenti alla pandemia, le offerte di lavoro sono in gran numero, i lavoratori hanno più scelta e le aziende fanno fatica a trovare la manodopera di cui hanno bisogno. In alcuni stati governati dai repubblicani questa estate sono state varate misure tese a tagliare i sussidi federali per la disoccupazione, una sorta di reddito di cittadinanza, ma gli effetti non sono stati quelli sperati e nonostante la quantità record di lavori disponibili, 10,4 milioni alla fine dell’estate, il mese successivo il dato sulla creazione di nuovi posti di lavoro ha portato a guadagnare su scala nazionale soltanto 194 mila nuovi occupati.
Le donne sono il numero maggiore di coloro che hanno lasciato l’impiego e in alcuni casi le imprese stanno rimettendo mano all’organizzazione del lavoro per prevenire le fughe di massa. Le catene della grande distribuzione come Walmart, Amazon, Costco, Walgreen, considerati i campioni di incasso nel periodo più difficile ora hanno alzato le retribuzioni arrivando ai 15 dollari l’ora, la cifra del famoso minimum wage che Biden non è riuscito a far diventare legge nazionale ma che invece singolarmente viene già applicato. Il termometro di quanto le condizioni sul posto di lavoro siano diventati importanti è anche testimoniato dal numero di scioperi, in cima alle richieste una ripartizione più equa dei guadagni delle imprese e il riconoscimento del lavoro straordinario o in fasce orarie disagevoli.
In molti si domandano se qualcosa di simile può avvenire in Europa e in Italia, statistiche precise ad oggi non ce ne sono e i regimi del mercato del lavoro nel vecchio continente sono molto difformi tra loro, e il licenziamento volontario è più prerogativa delle economie ricche, anche se alcuni segnali di dimissioni di massa sono stati registrati nel Regno Unito e in Germania, dove si registra una penuria in molti settori, per esempio ingegneri e operai. In Gran Bretagna nell’ultimo mese sono stati concessi 10.500 visti temporanei per carenza di manodopera, soprattutto camionisti, la Brexit e il Coronavirus sono i principali responsabili, ma il fenomeno è stato associato anche ad una forza lavoro che invecchia e non trova nuove leve. In Italia dove il tasso di disoccupazione è più alto della media europea, un dato di questo tipo non è visibile, ma da più parti si segnala la penuria di manodopera nei distretti industriali e nelle grandi città, la Confesercenti ha diffuso dati che denotano come nel mondo della ristorazione per la sola regione Lazio sono scoperti almeno trentamila posti di lavoro, tra camerieri, baristi e altri addetti. Una carenza di forza lavoro che può assomigliare per approssimazione alla ‘grande onda di dimissioni’ di oltreoceano.