L’evoluzione tecnologica moltiplica il bisogno di competenze digitali e green e l’Europa fatica a formare e immettere sul mercato del lavoro nuove figure specializzate
Chi è alla guida dei paesi dell’Unione europea da tempo è alla ricerca di soluzioni se non per risolvere, ma almeno per mitigare, il mismatch domanda-offerta del lavoro. Un fattore moltiplicato dall’esigenza di reperire sul mercato sempre più competenze digitali e green che nel vecchio continente sono carenti rispetto ai livelli raggiunti negli Stati Uniti e in Cina. I confronti sono impietosi: In Francia l’88% delle imprese non trova le competenze di cui ha bisogno, in Italia l’85%, in Germania l’82%. In Cina e in Usa il gap esiste, ma è del 28% e del 32%.
L’evoluzione tecnologica nei paesi dell’area Ue si frappone all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, per l’Ocse nell’Europa post pandemia 22 milioni di persone dovranno ritrovare la strada del mercato del lavoro. Sul piatto della bilancia che squilibra i conti pesano gli 8 milioni di disoccupati in più rispetto al periodo pre crisi e i 14 milioni di inattivi.
Tra le ragioni un fenomeno in realtà di lungo corso si individua in special modo il disallineamento delle competenze che ultimamente si è accentuato. Siamo abituati a trattare la carenza di talenti come un problema italiano quando invece siamo di fronte ad una emergenza internazionale messa in evidenza da diversi studi, tra cui quello di Manpower Group che ha rilevato una percentuale ai massimi degli ultimi 15 anni tra le aziende: quasi 7 datori di lavoro su 10 hanno difficoltà a trovare impiegati con le giuste competenze. Nei distretti industriali europei, dove si produce componentistica tecnologica le competenze più difficili da reperire sono quelle legate alle discipline STEM: Science, Technology, Engineering e Mathematics che contemplano figure chiave come i maintenance e equipment engineer o tecnico di manutenzione, specialisti in grado di operare su dispositivi molto complessi. La formazione è insufficiente per immettere sul mercato professionalità che sono in rapida evoluzione, in Francia e in Italia sono state promosse iniziative che hanno messo in contatto gli ITS e le Università con le imprese per concordare percorsi formativi compatibili con le esigenze del mercato del lavoro.
E a complicare gli sforzi di riqualificazione e miglioramento delle competenze interviene la struttura stessa delle economie dell’Europa e il disordinato sviluppo economico dell’area comunitaria. La maggior parte dei paesi si trova nel mezzo di una transizione molteplice, da una parte quella digitale, dall’altra quella verde sempre più incentrata sull’economia circolare che prevede diversi passaggi nel trattamento delle materie, nonchè la scomposizione in parti individuali come il recupero delle materie esauste, l’estrazione, il refurbishing solo per fare qualche esempio. La transizione digitale ha aumentato la domanda in alcuni settori come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, skills sui framework più nuovi, web cloud e reti per nuovi progetti.
Le risorse del Pnrr danno molto valore ai rispettivi piani nazionali di “Reskill e Upskill”, rivolti all’apprendimento di nuove competenze e il miglioramento di quelle esistenti per accedere a mansioni più avanzate al fine di sostenere la transizione digitale. Non è ancora il tempo dei consuntivi, ma la Missione 1 del Piano italiano è considerata la misura principale del Pnrr per rafforzare il tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione delle imprese italiane. A fine luglio l’Italia ha ricevuto la prima tranche di risorse, con una quota pari a circa 25 miliardi di euro e corrispondente al 13% del plafond complessivo. Il presidente del Parlamento europeo David Sassoli si è detto convinto che l’economia circolare “potrà creare 700 mila posti di lavoro in Europa entro il 2030” a compensare la perdita occupazionale subita nella transizione.