L’impatto del cashback di stato sull’economia di tutti i giorni, finita la fase sperimentale inizia la vera scommessa per raddoppiare in un anno i pagamenti digitali degli italiani.
Un progetto di lunga data e uno sbarco nel bel mezzo della miriade di bonus messi in atto dal governo sull’onda dell’emergenza, il Cashback di stato ha alimentato equivoci e ha fatto discutere, ma la misura ha avuto caratteristiche del tutto inedite con l’obiettivo dichiarato di ‘modernizzare il paese e favorire lo sviluppo di un sistema più digitale, veloce, semplice e trasparente’. Questo si leggeva nella lead del programma Italia Cashless ideato da Palazzo Chigi nell’ottobre del 2019, ma tutti gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti?
L’Italia è uno dei paesi occidentali con il più basso numero di transazioni con moneta elettronica, per questo fu messo in cantiere un piano per incentivare le spese con carte di credito e wallet digitali che ormai dilagano in tutto il mondo, nel 2019 secondo i dati di Bankitalia la media era di 111 operazioni all’anno, contro le 265 nell’Eurozona. Eppure in Italia una carta di credito o un bancomat è presente in oltre l’80 per cento delle famiglie, di qui l’idea di creare un sistema di rimborsi a carico dello stato del 10 per cento sulle operazioni fatte con carte di pagamento e credito sino ad un tetto di 150 euro ogni 6 mesi, per tutti i cittadini indistintamente in tutti gli esercizi fisici, escludendo l’ecommerce.
Dopo la prima fase sperimentale che è stato l’extra cashback di Natale sono emerse luci ed ombre. L’interesse è stato enorme e ha portato al collasso IO, l’app dei servizi pubblici sulla quale registrarsi per partecipare, si è trattato di un primo importante nodo nel complicato rapporto cittadini-PA per la necessità di dotarsi dell’identità digitale (SPID) e per il fatto che il governo ha gestito internamente il server e le soluzioni tecniche ‘front end’, invece di concentrarsi sul ‘back end’, su sistemi informatici interni appaltati ad imprese esterne come era stato fatto nel caso di Spid per l’identità digitale. In quel caso lo stato aveva creato un mercato di provider autorizzati sia pubblici che privati in competizione tra loro per offrire la migliore soluzione tecnologica, lasciando ai cittadini la libertà di scegliere. Se poi ci si mettono i disservizi per il crash dei server che non hanno retto l’urto di milioni di interazioni simultanee il quadro si completa. L’auspicio giunto da più parti è che lo stato non produca monopoli tecnologici, ma adotti principi di disegno dei servizi digitali basati sui criteri indicati dalla Commissione europea: aperti, interoperabili, competitivi e trasparenti nel pieno controllo dei dati da parte dei cittadini.
E a proposito d’Europa, non è passato inosservato che uno dei più importanti paesi dell’Ue abbia deciso di ricompensare tutte le spese fatte con carte di credito. Una decisione che ha spinto la BCE a ricordare all’Italia che ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, il Sistema europeo di banche centrali (Sebc) è tenuta ad agire conformemente al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace distribuzione delle risorse e il regolare funzionamento di tutti i sistemi di pagamento. Rilievi che Roma ha respinto in quanto il cashback non limita né penalizza l’uso del contante, ma tende unicamente ad incentivare gli strumenti di pagamento elettronico. E poi il grande valore aggiunto della digitalizzazione del paese, anche in riferimento ad un’operazione culturale, un lato sul quale i risultati sono apparsi sin da subito confortanti. Nonostante le limitazioni agli spostamenti e agli acquisti per le misure anti pandemia i numeri del cashback di Natale dicono che al programma si sono iscritti 6 milioni di italiani e sono state fatte 63 milioni di transazioni, di cui la metà sono state fatte per operazioni inferiori ai 25 euro e questo era proprio uno scopo primario: far diventare la carta di credito uno strumento di uso abituale anche per importi piccoli come il famoso caffè al bar e non solo per la grande spesa che anzi è penalizzata da un tetto di 150 euro per una singola operazione.
L’emersione del nero e la riduzione dell’evasione fiscale con la moneta elettronica è un altro intento del governo, altri paesi che hanno adottato misure simili hanno riportato bilanci positivi, in Portogallo la percentuale di IVA evasa è passata dal 13,7 per cento nel 2014 al 7 per cento nel 2019. Se anche in Italia si riuscisse a ottenere lo stesso risultato, lo stato riuscirebbe a incassare dieci miliardi in più soltanto di IVA, coprendo abbondantemente la spesa del cashback. Il raggiungimento di un analogo risultato in Italia è però del tutto ipotetico, tanto è vero che nessuna stima quantitativa è stata fatta dal governo sugli effetti sul gettito fiscale, mentre sono stimati 5 miliardi di euro in uscita per finanziare il cashback. Il tempo dell’esame costi-benefici è rimandato alla fine del 2021 quando si chiuderà la prima parte del programma, obiettivo dichiarato: raddoppiare i pagamenti digitali pro capite in Italia.