In Europa si lavora all’obiettivo della produzione di sole auto a zero emissioni entro il 2035. Le opportunità e le insidie di una trasformazione senza precedenti
L’industria automobilistica europea ha davanti a se una data sul calendario per arrivare alla sua mutazione più profonda ed è quella del primo gennaio 2035. Da quel giorno se si vorranno rispettare le leggi decise dall’Unione europea si potranno vendere solo auto a zero emissioni e già dal 2030 i nuovi veicoli dovranno emettere il 55% in meno rispetto ai dati del 2021. Anche l’infrastruttura dovrà adeguarsi, i paesi membri dovranno sistemare centraline di ricarica ogni 60 chilometri nel caso di auto elettriche e ogni 150 chilometri nel caso di auto a idrogeno. E questo perchè l’Europa da qui al 2050 vuole conquistare la neutralità climatica che riflette il punto in cui le emissioni nocive non superano la capacità della terra di assorbire i gas. I provvedimenti sono pensati sin da subito per ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e in prospettiva diffondere sempre di più l’uso delle fonti di energia rinnovabile tra cui la solare, l’eolica e l’idroelettrica. Inoltre il proposito dichiarato è quello di di stimolare opzioni di energia pulita per l’aviazione e la navigazione e vietare la vendita di auto nuove dotate di motore a combustione. Elemento chiave, dal 2026 sarà il prezzo da pagare sui combustibili inquinanti; criterio quest’ultimo che la Commissione propone di estendere anche al settore aereo, sinora esentato e a quello marittimo.
Per l’automotive il progetto è molto ambizioso e non privo di alcune insidie, la prima riguarda le supercar, ma altre problematiche stanno emergendo. “Chiudiamo la ‘Motor Valley’ se anche le supercar dovranno adeguarsi all’elettrico al 100%” ha detto il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, in relazione a vetture come Ferrari e Lamborghini. L’adeguamento al 2030 al full electric ha concrete difficoltà produttive, per cui il ministro ha spiegato che se ad oggi si pensasse di avere una penetrazione del 50% di auto elettriche non ci sarebbero neanche le materie prime per farle nè la ‘grid’ per gestirla. Su un ciclo produttivo di 14 anni, pensare che le nicchie automobilistiche e supersport si riadattino per Cingolani “è impensabile”. Come gestire il processo è una preoccupazione condivisa anche dai principali attori dello scenario che si vuole costituire: muoversi presto è il primo requisito e poi in maniera omogenea e ordinata, altrimenti il rischio è che chi si muove prima avrà maggiori benefici e soffrirà di meno la transizione beneficiando di più della riduzione dei profili di rischio delle società, aumentando l’occupazione e stimolando l’imprenditoria. In ogni caso non siamo all’anno zero, lo studio di Fondazione Symbola e Unioncamere attesta che sono 432mila le aziende dell’industria e dei servizi che hanno investito tra il 2015 e il 2019 in prodotti e tecnologie green e il commissario all’Economia Gentiloni ha rassicurato che sul tema della transizione ecologica molta attenzione da parte dei mercati finanziari si trasformerà in investimenti nei progetti in cantiere.
Ai negoziatori europei invece spetterà il difficile compito di armonizzare queste politiche con quelle di Stati Uniti e Cina, se ne è avuta riprova al G20 di luglio a Venezia anche se l’amministrazione Biden dopo Trump ha fatto subito rientrare gli Usa nell’Accordo di Parigi e il governo americano sta mettendo sul piatto investimenti per 35 miliardi di dollari per sviluppare sistemi per ridurre le emissioni e per gestire sul terreno le conseguenze dei cambiamenti climatici. Il piano destinerà 15 miliardi a progetti sperimentali: tra gli altri i veicoli elettrici, settore nel quale l’automotive statunitense, fortemente connesso con il mercato europeo non vuole rimanere indietro.