In Europa si diffonde il principio dell’imposta globale ma è scontro con gli Stati Uniti
La Digital Tax si afferma a livello globale. Gli annunci erano stati ripetuti più volte e in più occasioni dal governo: l’Italia dal primo gennaio 2020 ha la sua digital tax, sulla scia di quanto fatto da altri paesi europei. Definito anche il meccanismo con un’imposta del 3% sui ricavi. La contrarietà degli Stati Uniti è però netta, l’amministrazione Trump ha fatto sapere minacciosamente attraverso il segretario al Tesoro Mnuchin che se l’Italia e il Regno Unito proseguiranno nel loro intento di applicare una web tax sui giganti tecnologici americani, li attendono “i dazi del presidente Trump”. L’escalation possibile fa paura a tutti in Europa, l’Italia per ora si tiene solo formalmente la legge, il ministro dell’economia Roberto Gualtieri ha ribadito che l’Italia “ha bisogno di un passo avanti anche con misure fiscali di tassazione come la digital tax” appena entrata in vigore. Da parte italiana si fa però affidamento anche sul fatto che l’imposta – pur se entrata in vigore – non dovrà essere versata prima di febbraio 2021 e dunque si ritiene probabilmente che ci siano margini per proseguire il dialogo con Washington, in vista di una soluzione globale. I britannici per ora si sono presi tempo sino ad Aprile, la Francia dopo settimane di scambi polemici con l’amministrazione Trump ha concordato una sorta di tregua.
L’Unione europea è spaccata: scandinavi e irlandesi sono nettamente contrari alla web tax, Francia, Germania e Italia a livello di principio cercano di tenere il punto. “Se non ci sarà un accordo globale entro l’anno, ci sarà una tassa europea – ha detto il vicepresidente della Commissione Dombrovskis – Continuiamo a preferire un’imposta globale tuttavia siamo pronti a procedere con una misura Ue in mancanza di un accordo all’Ocse. L’intesa richiederà tempo, tuttavia è un fatto che attualmente le multinazionali digitali pagano al massimo un terzo di quanto dovrebbero e questo è un problema che va risolto. I giganti del Web danno un bel contributo all’erosione fiscale su scala mondiale valutata dall’Ocse in 240 miliardi di dollari l’anno”. Il negoziato all’Ocse si svolge su due piani. Il primo riguarda, appunto, l’imposta su una parte dei ricavi che le multinazionali (sopra una certa soglia di ricavi) realizzano sul territorio nazionale anche senza disporre di una presenza fisica. Il secondo riguarda un meccanismo globale anti-erosione delle basi imponibili per definire un livello minimo di tassazione delle multinazionali. A dicembre il segretario al Tesoro Mnuchin aveva detto che gli obiettivi del primo piano potrebbero essere sostanzialmente raggiunti trasformandolo in un regime di porto sicuro. In sostanza, le società americane sarebbero libere di scegliere se rispettare o meno il nuovo regime. Troppo poco per essere un punto di caduta dal punto di vista europeo, a Bruxelles l’idea è raggiungere un’intesa all’Ocse nel mese di Febbraio sul principio generale, il che implica l’addio all’ipotesi porto sicuro. E va affermandosi la convinzione che gli Usa hanno tutto da perdere se i grandi stati europei procedono in ordine sparso. “Non vogliamo un conflitto commerciale Europa-Stati Uniti” ha detto il ministro francese all’economia Le Maire aggiungendo che le potenziali sanzioni statunitensi sarebbero “ostili, inappropriate e illegittime”.
In particolare, la Francia insiste che la struttura dell’economia globale si è spostata su un nuovo modello basato sui dati, sui numeri, sui profili individuali, una cloud-economy che ha reso obsoleti i sistemi fiscali del secolo scorso. Non è quindi una casualità il fatto che, secondo i dati 2018 della Commissione europea, le società tecnologiche globali paghino un’aliquota fiscale media del 9,5% rispetto al 23,2% per le grandi imprese tradizionali, senza parlare delle piccole e medie aziende ancor più penalizzate da questa differenziazione. Di qui dunque il desiderio di tassare non più i profitti, ma direttamente i ricavi, così tecnicamente è più semplice definire e assicurare un gettito fiscale concreto. La tassazione dei profitti, infatti, richiede di stabilire dove maturano effettivamente i guadagni, il che è abbastanza difficile per qualsiasi azienda globale, ma ancora di più nel settore digitale. E non manca la linea di pensiero secondo la quale anche tassare le entrate potrebbe essere il modo migliore per far pagare queste società che segnalano grandi vendite ma guadagni irrisori. Tuttavia, non è affatto semplice capire quali ricavi sono collegati a un Paese specifico. Per fare ciò, le Entrate francesi propongono di tassare le società Internet in proporzione alla loro “presenza digitale” nel Paese rispetto al resto del mondo. Dunque tante proposte in ordine sparso da sottoporre tra le righe agli Stati Uniti in una logica di negoziato indiretto, ma se alla Casa Bianca resterà lo stesso inquilino anche gli indirizzi politici difficilmente cambieranno direzione lasciando aleggiare l’ipotesi dello scontro.