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Smart working: dopo il collaudo riuscito e qualche dubbio, si affermano tante modalità per stabilizzarlo e salvaguardare la produttività

La nuova normalità dello Smart Working entra in una fase nuova, nella quale le diverse modalità ed esigenze produttive cercano il giusto punto di equilibrio. A Marzo dello scorso anno smart working voleva dire fare tutto da casa per le categorie del lavoro che lo permettevano, oggi si affacciano modelli di vario genere che vanno a riguardare oltre 5 milioni di italiani (dato Politecnico di Milano) e che prevedono diverse declinazioni del lavoro agile, tanto che ad oggi sono stati predisposti o aggiornati ben 13 contratti nazionali, con una mappa di regole molto ampia, a cominciare proprio dal luogo di lavoro. Non è scontato che lo smart worker presti la sua opera da casa, i contratti collettivi stanno precisando che la prestazione possa svolgersi in parte nei locali aziendali e in parte fuori, senza una postazione fissa all’esterno, tra l’altro con l’assicurazione che il dipendente o collaboratore sia in grado di garantire l’assoluta segretezza delle informazioni aziendali.

I Ccnl cominciano a fissare fasce di contattabilità che coincidono generalmente con l’orario di lavoro e in ‘Mail-Up Group’, almeno il 50% della prestazione deve avvenire tra le 9 e le 18 e il diritto alla disconnessione per evitare l’overworking. Ci sono poi tutte le categorie con priorità nella concessione del lavoro agile, la prima è assegnate a genitori unici con figli a carico under 14 e a genitori di disabili. Da ripensare anche la dotazione tecnologica, quasi tutti i contratti rinnovati prevedono che siano garantite dall’azienda, ma un punto chiave è la formazione. Nella prima fase dell’emergenza uno dei problemi principali era nella capacità di gestire il lavoro in remoto e in network, ora i Ccnl cominciano a stabilire percorsi formativi ad hoc, creando anche dei cicli di formazione regolari. Tanto più che tra la fine del 2020 e i primi mesi del 2021 un numero interessante di aziende, soprattutto del settore digitale, ha fatto assunzioni di nuovo personale direttamente in modalità smart working.

Le normative stanno dunque disegnando un sistema per passare dalla necessità alla possibilità di avere percorsi lavorativi a distanza, una tendenza che implica molti cambiamenti anche per le aziende che riprogrammano e riducono gli spazi degli uffici, o stabiliscono nuove regole di utilizzo. In Italia sembra prevalere quest’ultimo approccio, secondo l’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano sono in maggioranza le società che utilizzano gli stessi spazi con regole di frequentazione e con una riprogettazione degli ambienti di lavoro. I cambiamenti non sono stati all’insegna della estemporaneità, la stessa indagine dice che solo l’11% delle aziende non modificherà gli spazi e lavorerà come prima della pandemia.

Eppure segnali di segno diverso non mancano guardando ai modelli di organizzazione, negli Stati Uniti Google che tra le prime grandi imprese aveva promosso il telelavoro ha deciso di riaprire gli uffici, anche se l’opzione ad oggi è subordinata alla disponibilità dei vaccini e dalla curva dei contagi nelle diverse parti del Paese dove sono presenti sue sedi. Un modello seguito a ruota anche da JP Morgan. I dubbi del management sul lavoro da remoto si sono rivolti principalmente ai livelli di produttività osservati su vasta scala, per ora il rientro sarà su base volontaria prima del ritorno ufficiale previsto per il primo settembre.

Sul nodo della Pubblica amministrazione nel nostro Paese si è pronunciato il ministro per la PA Renato Brunetta: “senza imbrigliarlo in percentuali, lo smart working dovrà restare uno strumento del lavoro pubblico e dovrà essere regolato dal contratto per evitare ogni abuso. Ma dovrà anche essere ancorato a tre variabili: efficienza, produttività e customer satisfaction. Se le migliora bene, altrimenti si privilegerà il lavoro in presenza”. Orientamento confermato nel decreto Proroghe, dove è stato cancellato il riferimento all’obbligo del 50% di smart working per i dipendenti pubblici.