Impatti e conseguenze dell’emergenza, una rete da ricostruire
La sharing economy sinora ha pagato uno dei prezzi più alti della crisi che si è abbattuta nel mondo con l’arrivo del Coronavirus. Si è creata una separazione netta tra le sorti dei Big Tech legati tutti ad attività immateriali e digitali al 100% come Google, Microsoft, Netflix, Facebook e così via e l’industria tecnologica che fonda il proprio business su attività che hanno subito una fortissima contrazione nei consumi. Il risveglio per Uber, Airbnb, Lyft, Bird è stato brusco, così come l’amara consapevolezza che quella digitalizzazione faceva leva su una intermediazione tecnologica con piattaforme e app per attività molto tradizionali come gli affitti brevi per lavoro e vacanze (Airbnb) o l’alternativa ai taxi con la formidabile rete di drivers di Uber. Nella seconda metà di Maggio Uber ha annunciato il licenziamento di 3.700 persone, il 14% della propria forza lavoro; Airbnb ne ha mandate via 1.900, il 25%; Lyft, che offre un servizio molto simile a Uber di cui è il principale concorrente negli Usa, ha rinunciato al 17% del suo personale amministrativo.
Si tratta di realtà che hanno deciso di tagliare le spese a discapito della forza lavoro. Licenziati impiegati e in molti casi quadri aziendali. Ma l’impatto è molto più alto se si pensa alla ‘materia prima’ su cui si basano gli affari di queste società: auto con conducenti a noleggio, case private per affitti brevi, corse in scooter. Prima del coronavirus Uber aveva circa 1,4 milioni di autisti in giro per il mondo. Aibnb circa 150 milioni di proprietà in affitti brevi in 65 mila città. Gli oltre due mesi di blocco totale hanno fatto emergere una grande fragilità di queste aziende, con modelli di business basati sulla necessità di impegnare molta cassa per occupare fette sempre più grandi di mercato e obbligate a cercare profitti grazie a grandi numeri di clienti. Ancor prima dei dissesti da pandemia Uber operava in perdita, nonostante la sua crescita esponenziale. I suoi forecast erano positivi sulla promessa di nuovi ricavi che l’emergenza ha invece penalizzato. Tuttavia gli Over the top operano sulla diversificazione del business e scommettono sul rilancio delle attività messe fuori gioco dal lockdown, la fotografia di oggi non necessariamente sarà quella di domani per gli esperti.
Airbnb a metà marzo aveva 7 milioni di annunci validi in tutto il mondo, i dati di AirDNA, società di analisi degli affitti online parlavano di un calo delle prenotazioni dell’85% e di cancellazioni vicine al 90%. In Italia Airbnb nella fase più drammatica dell’emergenza sanitaria aveva lanciato l’iniziativa su adesione degli host di affittare a medici e infermieri o a chi doveva stare in quarantena gli alloggi, non si conoscono gli esiti della campagna. Nel nostro paese degli 11 milioni di visitatori che hanno prenotato su Airbnb nel 2019, il 78 percento è straniero. E, con il blocco dei voli, i 200 mila host italiani dovranno fare affidamento sul turismo interno, che però non rappresenta la fetta di mercato più redditizia. Il game changer del 2020 prevede la società americana di analisi del settore Atmosphere Research Group sarà rappresentato dagli hotel tradizionali, dopo anni di crisi proprio per il modello Airbnb, gli alberghi sono in grado di garantire standard di igiene e politiche di distanziamento sociale degli ospiti migliori per i consumatori. Le grandi catene di alberghi stanno poi garantendo generose policies di cancellazione e rimborso.
E i modelli in scala dei citati colossi in giro per il mondo hanno conosciuto crisi analoghe durante il lockdown e ora sono alle prese con piani di post contenimento per tenere vive le attività. BlaBlaCar, la piattaforma web di carpooling che opera in 22 paesi, nata in Francia nel 2006 stava conoscendo un’espansione continua. All’inizio delle operation metteva in contatto altri utenti per viaggiare su un’unica auto dividendo le spese, ma progressivamente dal 2011 il servizio ha cessato di essere gratuito, prevedendo pagamenti e commissioni per il passeggero. E poi ha dato vita a BlaBlaBus, quest’ultimo servizio è stato completamente soppresso in tutta Europa da Marzo, mentre BlaBlaCar ha vissuto sui rigidi divieti di spostamento. Ad oggi dopo i rimborsi per i viaggi annullati, il servizio è in ripresa con tutte le cautele del caso e la società è impegnata a far rispettare le raccomandazioni per la prevenzione disposte dal Ministero della Salute, risalire non è impossibile, ma richiede tempo.
Le biciclette a noleggio sono invece tornate a girare con sempre maggiore fiducia nelle città di tutta Europa e l’Italia è il primo paese per numero di bici dopo la Cina. L’Italia era già leader in Europa per la diffusione dei servizi di bike sharing, con una crescita del 147% nel 2017, servizi attivi in 265 comuni e circa 40.000 bici a disposizione in totale. E le più grandi compagnie di noleggio bici in Spagna, Francia e Germania, con società in alcuni casi partecipate da società asiatiche, cinesi in primis. E proprio la cinese Mobike che offre un servizio di bike sharing a flusso libero senza l’uso di stalli per il parcheggio, considerato il più grande operatore al mondo in questo settore, valutata 3 miliardi di dollari è in cerca di rilancio. Anche Mobike si era segnalata per la sua iniziativa italiana di mettere a disposizione gratuitamente le sue biciclette per il personale sanitario ed oggi con la ripresa della libera circolazione scommette sulla validità del mezzo per la mobilità sostenibile incoraggiata con il “bonus mobilità”, utilizzabile non solo per mezzi privati, ma anche per abbonamenti ai servizi di bike sharing.