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L’Italia chiamata ad investire subito nel settore del Biotech, frontiera decisiva per risollevare il paese

Gli investimenti nella crescita del settore Biotech si moltiplicheranno in futuro, trasformare la scienza in prodotti che hanno un impatto sulla gente, alla luce di quanto sta accadendo nel mondo sono diventati una frontiera decisiva. Di piattaforme di innovazione c’è un bisogno mai così accentuato come in questi tempi, con la creazione di filiere integrate che vanno dai prodotti di basso impatto e dallo sviluppo dei mercati sino all’integrazione delle materie prime, dei chemicals e delle bio plastiche. Così come già oggi esistono in Italia imprese biotech ad alto tasso tecnologico con piattaforme basate sulle colture cellulari e vegetali in vitro che consentono un risparmio in termini di risorse ambientali, oppure integrazioni tra il mondo della chimica e dell’agricoltura, grazie alle biotecnologie industriali già oggi è possibile trasformare risorse rinnovabili in prodotti chimici. Da anni ormai Il comparto biotecnologico italiano raccoglie imprese attive nello studio, sperimentazione e sviluppo di tecnologie molteplici con diversificati ambiti di applicazione. I principali mercati di sbocco sono costituiti da salute, industria e ambiente, agricoltura e zootecnia. Svolgono attività di ricerca di base, servizi legati alla bioinformatica e all’analisi dei Big Data le imprese che si occupano invece di Genomica Proteomica e Tecnologie Avanzate – GPTA.

Nelle Life Sciences l’innovazione avviene principalmente nell’ambiente delle biotecnologie e del digitale inteso nel senso più ampio possibile. Ed è in questa direzione che l’Italia a seguito della sua drammatica emergenza nazionale è chiamata a concentrare gli sforzi come sistema e in un’ottica di lungo periodo. Diversi dati attribuiscono competitività al settore Life Sciences italiano, sia sul piano industriale, sia su quello della ricerca e della produzione scientifica. L’export è in crescita sia nel settore farmaceutico che in quello dei dispositivi medici (+4,7%) e in misura non trascurabile nella ricerca in ambito medico-scientifico dove l’Italia si segnala come paese avanzato. Ma va sempre tenuto conto che l’Italia è in ritardo nel livello di spesa pro capite in ricerca e sviluppo, siamo a 393 euro a livello nazionale ben al di sotto di paesi a noi vicini come la Francia che ha un rapporto in research & development di 749 che sale addirittura a 1.200 euro nel caso della Germania. I dati più recenti dicono anche che l’Italia è al quarto posto per la partecipazione al programma Horizon Europe 2020 e occupa la quinta posizione per finanziamenti ricevuti, 3,3 miliardi di euro, dietro a Germania, Regno Unito, Francia e Spagna. Eppure in Italia il comparto delle Life Sciences rappresenta il 10 per cento del PIL nazionale, occupa 347mila addetti specializzati e genera un valore alla produzione pari a 207 miliardi di euro, in crescita costante. Gli addetti ai lavori lamentano le carenze del nostro modello di finanziamento di università e centri di ricerca, tanto più che il momento di crisi globale è senza precedenti nella storia recente.

Assolombarda ha promosso il progetto Life Sciences Hub con l’obiettivo di favorire l’accesso dei centri di ricerca e delle imprese made in Italy a programmi europei per l’innovazione, capaci di mettere in sinergia soggetti pubblici e privati. Il suo presidente Carlo Bonomi questo mese si è rivolto alla società civile e alle istituzioni, lanciando un invito alla cooperazione tra pubblico e privato, per “mettere a fuoco le priorità che segnino la strada da seguire per mesi e mesi” e rispondere alla crisi economica: “Dobbiamo essere pronti a iniziare fin da subito un confronto con le istituzioni e con tutte le forze sociali del Terzo settore, per immaginare adesso e insieme l’enorme quantità di scelte e misure che attendono l’Italia per contenere il più possibile le enormi perdite in arrivo, e per perseguire in maniera credibile la ripresa il più rapidamente possibile”.

Da più parti arriva il pressante invito ad investire e a farlo il prima possibile oggi che il biotech è chiamato a risollevare le sorti del mondo nella febbrile ricerca di cure e vaccino per il Coronavirus e in tutto il mondo occidentale la tecnologia si muove per recuperare il terreno perduto. Sul piano internazionale la fondazione di Bill e Melinda Gates, dopo aver donato 100 milioni di dollari alla ricerca ha sviluppato alcuni test, almeno una quindicina, di compagnie farmaceutiche e di startup biotech che soltanto in America hanno annunciato di aver cominciato la ricerca per un vaccino, più molte altre in giro per il mondo. Finora tre compagnie e istituti sanitari hanno annunciato di essere sul punto di entrare nella fase clinica, che è quella della sperimentazione. In questo campo, la tecnologia mette a disposizione la sua capacità di calcolo. Ibm, per esempio, ha attivato uno dei supercomputer più potenti del mondo per facilitare la gestione dei dati nella ricerca di una cura. Summit è il nome che è stato dato al supercomputer che riesce a simulare la reazione del virus a contatto con i composti creati in laboratorio e in questo modo consente ai ricercatori di risparmiare moltissimo tempo.