L’industria farmaceutica italiana vuole crescere e contribuire alla resilienza del nostro sistema sanitario e all’autonomia strategica dell’Europa.
L’industria farmaceutica italiana sta compiendo uno sforzo imponente per riportare le produzioni in Italia e alleviare l’Italia e l’Europa dalla dipendenza del gigante asiatico che opera soprattutto da India e Cina e sull’altra sponda dagli Stati Uniti. Il Big Pharma nazionale si compone di una galassia di divisioni italiane di multinazionali, ma anche di una sessantina di agguerrite piccole e medie imprese che operano nella produzione dei principi attivi, sino al farmaco finito. I progetti di sviluppo sono stati stimati dal Cluster Tecnologico Nazionale Alisei in 1,5 miliardi di euro e 11mila nuovi posti di lavoro e sono stati proposti per il PNNR (il piano nazionale di ripresa e resilienza) per ampliare e modernizzare la farmaceutica made in Italy sulla base delle capacità produttive esistenti, delle potenzialità di nuove attività e delle possibili carenze a livello nazionale ed europeo.
Gli investimenti possono potenziare le produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi, ma anche fare da volano per innovare i processi in termini di ottimizzazione delle attività e riduzione dell’impatto ambientale, rientrando dunque anche nelle priorità indicate in materia dal piano Next Generation UE. Nel dettaglio gli interventi possono essere rivolti all’ampliamento di impianti esistenti e la creazione di nuovi con l’obiettivo di aumentare il potenziale di crescita delle aziende e dei posti di lavoro. Un innesto su un sistema solido: l’industria farmaceutica è il comparto che negli ultimi 5 anni ha incrementato più di tutti l’occupazione in Italia e secondo un’indagine di Alisei il Pharma italiano ha il più alto tasso di competenze e tecnologie tra i paesi europei per la produzione di medicinali e principi attivi di maggior consumo. E a giugno, o al più tardi a settembre in Italia sarà pronto il vaccino anti-Covid ReiThera che con la produzione di 100 milioni di dosi negli obiettivi dovrebbe rendere l’Italia autosufficiente nella partita cruciale per le vaccinazioni, dove il nostro paese ha già sperimentato cosa vuol dire competere con le multinazionali del vaccino su costi delle fiale e capacità di approvvigionamento degli stati.
Acquisire maggiore competitività in ambito europeo, laddove ci sono paesi come la Francia che hanno fatto investimenti importanti è un primo obiettivo, ma il più importante resta quello, storico, dell’uscita dalla dipendenza da Cina e India che hanno preso il volo grazie a minori vincoli normativi e costo del lavoro più basso. Fattori che nel settore fanno praticare prezzi mediamente più bassi del 25% rispetto a quelli europei, con effetti evidenti: oggi l’80% delle molecole arriva da quei paesi. Un meccanismo che però si è inceppato con la crisi sanitaria dell’ultimo anno che ha portato forti rallentamenti nelle esportazioni e carenze nell’approvvigionamento.
Per questo l’industria chimica mette in risalto la necessità di poter procedere con le proprie gambe se da parte delle agenzie europee giungerà chiara l’identificazione dei principi attivi su cui produttori e ed enti regolatori devono concentrarsi. Con la consapevolezza che l’Italia è in grado di produrre il 90% circa di tutte le molecole di cui l’Europa ha bisogno, un valore che attraverso ulteriori partnership pubblico-privato daranno più occupazione, nuovi profili professionali e di fronte alle emergenze il rafforzamento della produzione nazionale può contribuire a dare maggiore efficienza al sistema sanitario che mai come in questi ultimi 12 mesi è stato messo a dura prova.