
La crisi energetica e la conseguente impennata dei prezzi dell’energia si ripercuote sulle prospettive di ripresa dell’industria e gli interventi tampone sugli oneri di sistema non bastano
Crisi energetica: impatti sull’industria e rincari tra metano e CO₂
La crisi energetica che si profila non riguarda la scarsità di risorse, ma l’esplosione dei prezzi. È una raffica di rincari che colpisce la ripresa dell’industria italiana. Lo scenario futuro resta incerto. Molto dipenderà dall’andamento, oggi imprevedibile, delle quotazioni internazionali del metano e dell’energia elettrica nei prossimi tre mesi.
I rincari incontrollati del metano, oggi tra le fonti più usate per produrre elettricità, si sommano al raddoppio delle quotazioni europee ETS (Emission Trading System) della CO2. Sono tra le cause principali dell’impennata dei prezzi. Il sistema di scambio delle quote di emissione dell’Unione europea si è ingolfato.
È basato sul principio del “cap and trade”: un tetto comunitario limita le emissioni totali di gas serra in diversi settori. Ogni azienda riceve un numero fisso di quote. Ciascuna consente di emettere una tonnellata di CO2 nell’arco di un anno. Le quote sono cedibili. Chi emette meno può venderle a chi inquina di più. Chi ha sforato il proprio tetto può acquistarle da chi ne ha in eccesso. Tuttavia, non può superare il limite assegnato, pena pesanti sanzioni.
E gli effetti sul settore manifatturiero
La bilancia è andata fuori equilibrio e il segmento industriale ne sta già risentendo, l’industria manifatturiera con una domanda elettrica di circa 90 miliardi di chilowattora dovrebbe pagare per fine anno una bolletta complessiva nell’ordine di 16,5/17 miliardi, tra esenzioni, sovraccosti e sconti quantità.
Crisi energetica: le sfide delle imprese energivore
Nel mondo delle imprese cresce l’allarme, entro il 10 dicembre dovranno essere consegnati a Terna i piani di consumo per la pianificazione del 2022. Questo periodo che scandisce l’inizio dell’autunno è quello nel quale le aziende, soprattutto quelle che vengono definite ‘energivore’, dunque ad alta intensità energetica vanno a negoziare i contratti di fornitura di elettricità e gas e stavolta lo fanno in un clima di grande incertezza.
Tanto che molte aziende hanno organizzato piani di ricopertura acquistando derivati per mettersi al riparo dal rischio prezzo, oppure stabilendo contratti Ppa a prezzo concordato.
Altrimenti l’alternativa è costituita dalla possibilità di acquistare di volta in volta le forniture secondo l’andamento dei prezzi e cercare di mitigare i sovraccosti. È una pratica definita ‘a sbalzo’, oltre mai rischiosa in questo periodo: chi prenotava in maggio per il 2022 una fornitura di mille kilowattora aveva prezzi tra i 60 e i 70 euro che ora sono schizzati oltre i 110 euro.
E secondo gli analisti di settore le aziende energetiche più piccole sono esposte a scarsi investimenti di garanzia, oltre ad essere impegnate a fornire ai clienti prezzi concorrenziali che finiscono spesso nel sottocosto.
E gli interventi del governo e i limiti delle misure tampone
Il governo si è impegnato a promuovere interventi di sostegno per combattere l’aumento indiscriminato dei prezzi, e si è mosso prevalentemente a tutela dei clienti privati e le piccole imprese attraverso il meccanismo dell’eliminazione degli oneri di sistema che pesano per circa un terzo della fattura elettrica e sono diventati anch’essi elementi di competizione contrattuale, vengono proposti sotto forma di abbonamento mensile fisso al quale vanno però aggiunti i costi variabili e indicizzati dell’energia.
Nel corso della relazione annuale al governo e al Parlamento sullo stato dei servizi L’Autorità per l’energia, le reti e l’ambiente (Arera) ha posto la necessità di andare oltre la misura tampone per calmierare i prezzi e impegnarsi per lavorare ad una riforma strutturale di concerto con l’Unione europea, a cominciare dal trasferimento in modo stabile di una quota di gettito in crescita dalle aste CO2, alla riduzione degli oneri generali di sistema non solo in chiave emergenziale, ma stabile.
Una proposta che in questo momento interessa anche alla Spagna che vive la stessa congiuntura italiana.