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Finanziamenti del Fondo Pmi, tante richieste rivelano il grande bisogno di liquidità del sistema imprese

Il ricorso imponente al Fondo Pmi a distanza di oltre 6 mesi dal suo varo ufficiale offre una visuale sullo stato delle piccole, medie e grandi imprese italiane alle prese con le difficoltà del periodo. A metà agosto è stata superata la soglia psicologica del milione di domande arrivate al Mise e al Mediocredito, per un importo pari a 71,2 miliardi di euro. Si tratta perlopiù di richieste di finanziamento sino a 30mila euro, con copertura al 100%, per queste operazioni l’intervento del Fondo è concesso automaticamente e i prestiti possono essere erogati senza attendere l’esito dell’istruttoria. E raggiungono i 300 miliardi di euro le domande di adesione alle moratorie su prestiti e attraverso Garanzia Italia di Sace sono state concesse garanzie per 12,7 miliardi, su 450 richieste ricevute. Il ministro dell’Economia Guatieri lo scorso 28 agosto ha firmato il decreto attuativo per la garanzia Sace a copertura del 70% del prestito da 1,15 MLD siglato da Fincantieri con un pool di banche italiane.

Quindi la domanda di accesso al credito in maniera snella sia per importi piccoli, come nel caso del Fondo Pmi, sia per le grandi realtà, mostra un segnale chiaro, il sistema delle imprese italiane ha un grande bisogno di liquidità, una necessità che è stata raccolta statisticamente da Unioncamere che ha condotto una ricerca su 1,3 milioni di società attive. I numeri parlano chiaro: quasi il 60 per cento (58,4%) prevede di avere problemi di liquidità nei prossimi sei mesi, quasi il 75% nei settori della ristorazione e del turismo. Secondo l’indagine soltanto il 13 per cento del totale delle imprese non ha subito contraccolpi produttivi e perdite economiche significative nella prima metà del 2020, mentre l’85% delle aziende si considera distante dall’obiettivo di assorbire le ripercussioni della crisi. Ancora una volta appaiono più preparate a superare le criticità le imprese che hanno adottato piani integrati di digitalizzazione. La percentuale di società in perdita è minore e le stesse sembrano poter guardare ad un recupero relativamente meno lontano nel tempo avendo potuto adattare più velocemente la propria organizzazione ai cambiamenti imposti dalla pandemia. Di contro, una insufficiente o parziale impegno negli investimenti digitali è un fattore che allunga i tempi della ripresa e comporta maggiori difficoltà nella gestione finanziaria delle fasi di crisi più acute.

Il quadro osservato per macro settori fornisce dati disomogenei, le imprese delle costruzioni sono in condizioni migliori anche per la possibilità data loro di riprendere prima le attività produttive. La situazione più critica, nonostante l’estate movimentata, è quella delle imprese del settore turistico, oltre il 63% di queste aziende ritiene di poter tornare a livelli di attività adeguati solo in tempi lunghi, non prima del primo semestre del 2021. Oltre alle limitazioni nei flussi turistici dall’estero ha pesato il generalizzato calo dei redditi sia sul fronte interno che internazionale. Tinte meno fosche per le imprese del commercio, anche anche se una su due teme che gli effetti dell’emergenza possano durare per oltre un anno, a marcare la differenza anche in questo caso sono soprattutto l’aumento delle difficoltà economiche per molti nuclei familiari che ne riducono le capacità di spesa, oltre alle modifiche delle abitudini di spesa dei consumatori. Nel manifatturiero sono invece i settori della meccanica, dei settori elettrico ed elettronico e della chimica-farmaceutica a contare di contenere entro la fine del 2020 gli effetti più pesanti della crisi dei consumi.

La carenza di liquidità si fa sentire soprattutto al sud e nelle isole, dove si dicono in difficoltà due terzi delle aziende interpellate. Il timore nel circuito imprenditoriale è legato ad una eventuale stretta nella concessione dei prestiti, non più sostenuti dalle garanzie statali che scadono il 31 dicembre e le moratorie sui prestiti sono state concesse solo sino a gennaio del prossimo anno. Sarà la Commissione europea pronunciarsi su eventuali proroghe.