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Delocalizzazioni, l’orizzonte di una nuova normativa, ma per gli imprenditori a far la differenza è la capacità di attrazione del mercato italiano

Molti imprenditori da Nord a Sud nel mese di agosto si sono pronunciati contro il progetto di normare attraverso un Decreto legge i processi di delocalizzazione delle imprese. La questione ha avuto anche inevitabili polemiche a livello politico, ma il Decreto ancora non è stato scritto e non è nemmeno detto che mai verrà predisposto in base alle indiscrezioni. Il ricorso alle delocalizzazioni è invece ben conosciuto al mondo delle imprese grandi e piccole, secondo i dati Istat sono poco più di 4mila le aziende con più di 250 dipendenti a cui si applicano le norme che impongono un percorso obbligato prima di chiudere un sito produttivo in Italia, con cessazione definitiva dell’attività per ragioni non determinate da squilibrio patrimoniale e economico-finanziario che ne renda probabile la crisi o l’insolvenza.

Il governo, o una parte di esso, secondo il Sole 24Ore sta lavorando ad un testo in cui si impone all’azienda che decide di chiudere il sito, una serie di adempimenti che precedano i licenziamenti, attraverso l’obbligo di una comunicazione scritta del progetto di chiusura del sito produttivo a Ministero del Lavoro, Mise, Anpal, Regioni e sindacati; entro 90 giorni dalla comunicazione scritta inoltre l’azienda è tenuta a presentare al Mise un piano per limitare le ricadute occupazionali ed economiche che derivano dalla chiusura dell’impresa. Il processo poi prosegue con l’iniziativa del Ministero dello Sviluppo Economico che entro 30 giorni dalla presentazione del piano convoca i vertici aziendali per esaminare e discutere la documentazione e dopo altri 30 giorni di istruttoria insieme ad Anpal, Regioni e sindacati si esprime sul piano. Procedura che appare tortuosa sulla quale i tecnici e giuslavoristi stanno studiando correttivi, con l’ipotesi di prendere a riferimento la legge 223 sui licenziamenti, dilatando i tempi del confronto con il sindacato ed eliminando il giudizio finale del Mise. In esame anche un lifting sulle sanzioni che eviti le paventate black list e maxi multe, basate a partire dal 2% del fatturato dell’ultimo esercizio e lo stop ai contributi e finanziamenti pubblici per cinque anni.

Gli esperti di diritto del lavoro, ma anche diversi esponenti del mondo delle imprese pongono l’attenzione sul punto che la libertà di scegliere il luogo dove produrre non può essere imposta dal legislatore, ma solo resa più o meno attrattiva. Il presidente di Confindustria Bonomi ha definito la norma ‘punitiva’ e altri rappresentanti datoriali hanno posto l’esigenza piuttosto sul tasso di fiducia che l’Italia può offrire con interventi sulla burocrazia, tempi della giustizia civile e semplificazioni. Inoltre la temuta ondata di licenziamenti alla fine del blocco approntato dal governo sinora non c’è stata, il caso della Gkn di Firenze che ha comunicato via WhatsApp 422 licenziamenti dal venerdì al lunedì è rimasto un caso isolato, le crisi industriali persistono, ma secondo Enrico Carraro presidente di Confindustria Veneto nel Nord si continua a cercare manodopera e le chiusure delle aziende non sono un fenomeno massiccio. A dargli ragione sono i dati INPS che a maggio hanno registrato un boom di nuovi contratti con 683mila nuovi rapporti firmati e nei primi cinque mesi dell’anno sono state attivate 2.412.000 assunzioni. Opinione condivisa dall’omologo in Puglia Sergio Fontana che al Corriere della Sera ha detto: “Dobbiamo fare in modo che l’Italia diventi attrattiva, non bloccare le imprese con sanzioni”, così come “la Pubblica Amministrazione deve funzionare e la giustizia avere tempi rapidi”.

E se pure è stato rinviato dalla data originaria del primo settembre il nuovo codice della crisi di impresa (slittato al 16 maggio 2022), da metà novembre sarà già possibile ricorrere alla “composizione negoziata” tra debitore e creditori per una ristrutturazione dei debiti e arrivare al risanamento aziendale. In questo modo avvalendosi di esperti facilitatori si potrà puntare ad una continuità aziendale o ad una liquidazione più agile. Per chi sceglie questa strada il governo ha fatto sapere che sono previste misure premiali.