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Un anno tutto in salita per le imprese italiane, ma investimenti, ricerca e sviluppo restano strategici

La seconda parte del 2020 di resistenza e di resilienza, per le imprese italiane la ripartenza vera e propria sarà nel 2021, quando secondo gli studi previsionali ci sarà un rimbalzo capace però solo di dimezzare il crollo del Pil (tra l’8 e il 9,1%) di quest’anno. Il ministro dell’Economia Gualtieri è convinto che “ci troviamo di fronte ad uno shock economico molto pesante, ma al tempo stesso temporaneo che non intaccherà i fondamentali che sono solidi come dimostrano i dati del deficit al momento dello scoppio della crisi”. Ed in più è in corso lo sforzo straordinario di finanza pubblica per risollevare il sistema delle imprese e scongiurare quel rischio di default per oltre mezzo milione di piccole e medie imprese. Anche Vittorio Colao a capo della Task Force per la Fase 2 immagina “12-18 mesi per superare la tempesta”.

Ma saranno già i prossimi mesi a dirci se le misure messe in campo basteranno in un quadro di riferimento dove non solo si registra una drastica diminuzione dei volumi di affari, ma anche lo stop a ricerca e innovazione, ingredienti decisivi per la competitività delle aziende italiane. Il 44% delle imprese che aveva programmi di ricerca e sviluppo pre blocco delle attività prevede ora di fermarli o metterli in stand-by rivela un’indagine dell’Istituto di ricerca MET svolta praticamente in tempo reale all’insorgere del lockdown che ha monitorato i fatturati, l’occupazione, l’accesso al credito e le strategie difensive su un numero di società campione. Si accorcia la prospettiva se vengono meno i piani di investimento in ricerca, con conseguente ridimensionamento di occupazione qualificata. E la ricerca sacrificata peserà negativamente su quel -12% di investimenti fissi lordi pronosticato dal Def approvato ad aprile dal governo, dato rafforzato dal fatto che i primi provvedimenti pubblici si sono concentrati sulle prime necessità quali tutele occupazionali e liquidità finanziaria per le imprese. Ma anche l’attività ordinaria appare ferma, esiste un decreto attuativo per sbloccare il credito di imposta per gli investimenti in ricerca e sviluppo come riformato dall’ultima legge di bilancio che è congelato da febbraio. Nell’arco dei 12 mesi è previsto in media un calo del 19% per il fatturato e del 9% per l’occupazione; per sbloccare le regole sul bonus ricerca il Mise aspetta un potenziamento del Decreto Crescita. Da più parti arrivano sollecitazioni da imprenditori indipendenti ad ampliare il concetto stesso di “imprese strategiche” per il paese che fruiranno di una dotazione di 40 miliardi di euro gestito dalla Cassa depositi e prestiti. Dal ministero dell’Economia rispondono che l’intervento della Cassa non riguarderà solo le grandi imprese, ma soprattutto quelle medie in temporanea difficoltà. Ed infatti passata la fase critica e rimessa in sicurezza l’azienda Cdp uscirebbe dal capitale, escludendo invece anche dal primo intervento chi scontava situazioni di sofferenza prima dell’emergenza Coronavirus. Di certo l’Italia ha chiesto a Bruxelles di poter estendere le operazioni di salvataggio anche oltre il 2020. Secondo la stima della Banca d’Italia in rapporto al Pil, il valore delle garanzie statali recentemente introdotte per fronteggiare la crisi e’ prossimo al 10 per cento in Spagna, al 15 in Francia e al 25 in Germania e in Italia. Le norme del decreto che regolano l’utilizzo delle garanzie secondo Bankitalia andranno rese rapidamente operative, con le risorse finanziarie e tecniche necessarie, e assicurando che gli interventi raggiungano le imprese che ne hanno bisogno per superare l’emergenza.

Ma quali imprese usciranno meglio dalla crisi? Una recente indagine del Financial Times punta l’obiettivo sulla visione di lungo corso e sull’evitare di concentrarsi sui vantaggi immediati per esempio in termini di risparmi e tagli, privilegiando piuttosto l’equilibrio e la tenuta complessiva del sistema produttivo di cui si fa parte, una condotta virtuosa che avrà un ritorno. In altre parole lungimiranza, per il quotidiano della City l’epidemia sta penalizzando manager e azionisti che hanno dato la priorità alla “sempre maggiore efficienza, sacrificando solidità, resilienza ed efficacia”. Se ne ricava una bocciatura della filosofia del “just in time” che punta a minimizzare gli sprechi (evitando ad esempio di accumulare scorte), in una filiera ideale in cui si compra e si produce solo ciò che si riesce a vendere, legandosi a fornitori a breve termine. Saranno loro a soffrire più di tutti l’impatto della crisi, i mercati si fidano sempre meno di imprese miopi, la crisi “cambierà l’atteggiamento sociale e politico nei confronti delle imprese che si sono affidate al precariato”. Chi invece ha fatto scelte più solide, non solo resisterà, ma trarrà occasioni propizie dalla crisi. La priorità per il FT dovrebbe essere ricostruire robuste riserve di liquidità, anche grazie agli aiuti statali che se non resteranno imprigionati dalla burocrazia, arriveranno sotto forma di prestiti agevolati, sostegno ai lavoratori e sussidi diretti. Quindi a vincere sul modello ‘just in time’ sarà quello del ‘just in case’ che non punta solo a tagliare i costi, ma a basare i rapporti con i fornitori in termini sistemici, di interesse comune a medio e lungo termine. L’impresa lungimirante saprà poi rafforzare “l’intera rete di persone alla base del suo successo”, inteso come ambito strategico: “le società che hanno mantenuto una rete di sicurezza fatta di lavoratori a tempo pieno fedeli e adattabili hanno più probabilità di farcela”.