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L’Italia digitale avanza ma resta nella seconda fascia tra i paesi Ue. Le imprese sempre più in cloud ma il divario sui big data resta evidente

L’Italia si allontana dal fondo della classifica europea sul tasso di digitalizzazione, ma resta nelle posizioni basse nel confronto con gli altri paesi dell’Unione, scontando un ritardo soprattutto sulle competenze. L’annuale rapporto sull’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) pone l’Italia al 20esimo posto tra i 27 stati membri dell’Ue, dunque in risalita di 5 posizioni dal 25esimo dello scorso anno, ma in ogni caso con prestazioni notevolmente peggiori dei primi della classe: Danimarca, Finlandia e Svezia. Dietro all’Italia Cipro, Slovacchia, Ungheria, Polonia, Grecia, Bulgaria e Romania in ultima posizione.

L’indice Desi dice che l’Italia sconta ancora un ritardo ampio sul capitale umano, il 42 per cento dei cittadini tra i 16 e i 74 anni può essere considerato “in possesso delle competenze digitali di base”, contro una media europea del 56 per cento. E se ci si sposta sulle “competenze digitali superiori”, solo il 22% degli italiani rientra in quella fascia, contro un 31 per cento di media europea. Le imprese hanno aumentato i loro servizi in cloud (dal 15% del 2018 al 38% di quest’anno), ma molto rimane da fare: i big data sono usati dal 9 per cento delle aziende italiane, contro una media Ue del 14 per cento, stesso divario nelle tecnologie basate sull’Intelligenza Artificiale (18% mentre la media europea è del 25%). Le piccole e medie imprese hanno fatto progressi, il 69 per cento ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, la stessa cosa non si può dire nel rapporto con la Pubblica amministrazione: il 36 per cento degli italiani ha fatto ricorso a servizi di e-government, facendo segnare si un miglioramento rispetto al 32 per cento del 2020, ma con una distanza doppia rispetto agli altri paesi europei dove il 64 per cento dei cittadini dialoga abitualmente con la PA in digitale. Stando al rapporto in Italia l’uso dei fascicoli sanitari elettronici da parte dei cittadini rimane disomogeneo su base regionale e questo nonostante gli sforzi compiuti da alcune realtà territoriali per rendere più efficiente la sanità digitale durante la pandemia e la gestione delle campagne vaccinali, in ogni caso sarà il prossimo rapporto che conterrà in pieno la risposta europea alla pandemia in termini di digitalizzazione.

Complessivamente l’Europa può considerarsi soddisfatta a metà per i risultati ottenuti, tanto da spingere la vicepresidente esecutiva della Commissione europea Vestager a dire che attraverso un accordo con i paesi membri “si cercherà di garantire che gli investimenti chiave in materia vengano effettuati tramite il Recovery perchè il divario tra i paesi con le migliori performances Desi e quelli con i punteggi più bassi resta ampio”. E dunque nonostante i miglioramenti tutti i paesi dell’Unione “dovranno compiere sforzi concertati per raggiungere gli obiettivi del 2030 stabiliti nel Decennio digitale europeo”. Tornando ai risultati ottenuti dall’Italia il report dice che nella connettività i progressi “si sono registrati sia in termini di copertura che di diffusione delle reti, con particolare riferimento ai servizi che offrono velocità di almeno 1 Gbps. Ma il ritmo di dispiegamento della fibra ottica è rallentato e sono necessari ulteriori sforzi per aumentare la copertura delle reti ad altissima capacità e del G5 per incoraggiarne la diffusione”. Il G5 è ben lontano dalla sua diffusione capillare, nonostante l’Italia sia stato uno dei primi paesi in Europa ad avviare investimenti e sperimentazione, ad oggi la copertura è su appena l’8 per cento delle zone abitate, contro la media Ue del 14 per cento. Dove l’Italia fa decisamente meglio è in fatto di integrazione di tecnologie digitali, qui occupa la decima posizione in classifica, al di sopra della media europea.